Etrusca, scandalosamente donna
Uomini e donne in passato operavano in ambiti di uguale importanza per la comunità, ma differenti tra loro.
Ancora oggi vi sono mansioni solo per uomini e altre solo per donne e, a differenza dal passato, nella società moderna, molte attività vengono svolte da entrambi.
Nel corso della Storia, le donne hanno ricoperto ruoli diversi, ma per molto tempo è stato impedito loro di studiare e di svolgere lavori “importanti” o lavorare fuori dalle loro case, perché il loro compito era quello di adempiere ai lavori domestici e badare ai figli. Oggi, in alcune parti del mondo, la loro vita è molto diversa, sono più libere e possono scegliere che lavoro esercitare e dove lavorare, possono studiare e decidere della loro vita.
Purtroppo, però, in altri Paesi del mondo esistono ancora forti disparità e discriminazioni tra il genere maschile e quello femminile: l’istruzione scolastica è vietata alle ragazze o è molto limitata; le ragazze e le donne non possono scegliere liberamente il loro destino, ma devono ubbidire a padri, fratelli e mariti; le bambine e le ragazze sono spesso maltrattate, mutilate e a volte sono costrette a sposarsi poco più che bambine, perdendo così la possibilità di andare a scuola e ricevere un’istruzione che permetta loro di lavorare e di rendersi indipendenti. La lotta per l’uguaglianza e la parità di diritti tra maschi e femmine è ancora accesa perché, nella realtà, il principio di “eguaglianza” trai due sessi è ancora lontano dall’essere pienamente applicato.
Le donne guadagnano meno e sono meno protette sul lavoro anche nei Paesi culturalmente più avanzati, dove l’arrivo di una rappresentante del gentil sesso al vertice di un’istituzione, è accolto dall’opinione pubblica come un “ce l’ha fatta” e l’evento non appare quasi mai come un vero vantaggio per la collettività. La sensazione è quella di appagamento per i numeri delle “quote rosa” raggiunti senza capire l’importanza delle vedute femminili nella società, nell’economia, nella politica. È interessante citare la constatazione di Luce Irigaray (filosofa e femminista belga): “I valori di cui le donne sono portatrici, non sono sufficientemente riconosciuti e apprezzati anche dalle donne stesse”. Per alcune donne, l’emancipazione è un problema di privilegi individuali e non di rivendicazione di doveri sociali. La parità di genere non è solo una questione di potere, ma della responsabilità da condividere insieme per un futuro migliore.
Le nuove generazioni di donne, in parte del mondo, sono nate e cresciute con una serie di diritti acquisiti e per questo danno scontata la possibilità di realizzare la propria vita secondo le loro prospettive personali. Quando, dopo il percorso formativo, si trovano ad affrontare il mondo del lavoro e a voler “metter su famiglia”, devono però lottare contro una società che ancora discrimina la donna a favore dell’uomo.
Le “conquiste” della donna, laddove ottenute, possiamo dire che è un duro percorso di lotte andato a buon fine grazie alla loro forte unione, ma c’è ancora molto da fare.
La prima vera lotta riguarda il lavoro, che è la strada per raggiungere l’indipendenza economica e quindi libertà dai contesti famigliari di origine e dal proprio compagno. Con la rivoluzione industriale, alla fine del XIX secolo, si vede l’ingresso della donna in molti settori lavorativi. Essa diviene “visibile” all’esterno della famiglia, non più “protetta o nascosta” tra le mura domestiche, relegata al ruolo di “angelo del focolare”. È stata, comunque, la “Grande Guerra”, nel XX secolo, con la chiamata massiccia alle armi degli uomini, a fare uscire le donne dal tradizionale compito dell’accudimento familiare. Esse hanno iniziato a prendere posto nelle attività lavorative pubbliche e private riconoscendo in sé stesse capacità e risorse umane di autonomia fino ad allora represse.
La prima grande conquista delle donne italiane è stato il diritto al voto. Il popolo delle donne viene finalmente ammesso, nel 1946, a partecipare alle scelte e alle decisioni riguardanti la politica del paese. Sempre in Italia, per esempio, dal 1948 in poi c’è stata un’escalation dell’emancipazione femminile. È stata estesa anche alle donne la possibilità di accedere, in condizioni di uguaglianza, agli uffici pubblici e a sviluppare importanti norme per la tutela delle lavoratrici madri. La donna è stata ammessa a ricoprire cariche professionali e impieghi pubblici, le è stata aperta la carriera prefettizia, diplomatica e militare. È stato raggiunto il diritto di parità nell’ambito famigliare, approvate leggi sull’interruzione volontaria della gravidanza e sul divorzio.
Con la presa di coscienza degli effetti devastanti sulla psiche e sul corpo causati dalla violenza di qualsiasi tipo che le donne erano costrette a subire, quelle stesse violenze, con leggi apposite, sono state trasformate in reati contro la morale e la persona.
Nonostante questi progressi, la donna non deve abbassare la guardia poiché non ci sono abbastanza strumenti di lotta che garantiscano il mantenimento delle conquiste fatte e che le leggi non abbiano solo valore sulla carta.
In quasi tutti i periodi della storia passata, la donna ha subìto un trattamento sfavorevole rispetto all’uomo e spesso subordinate ad esso. Le donne sono state private di diritti fondamentali ed escluse dalla vita sociale e dalle attività pubbliche. Spesso viveva all’ombra del padre, dei fratelli, del marito, rispetto ai quali aveva diritti e autonomie inferiori.
Un’epoca in cui la donna visse uno dei periodi più difficili fu il Medioevo. Esse erano sottomesse agli uomini in tutti i campi della vita ma riuscirono a ritagliarsi spazi di azione e di autonomia. Sebbene la donna abbia sempre lavorato in ogni epoca storica, nel Medioevo la sua vita professionale era strettamente connessa alle sue origini sociali. La vita lavorativa delle donne di umili origini, generalmente contadine, era molto faticosa e gravata da pesanti responsabilità. Nelle città, si occupavano di gestire locande e alberghi, luoghi di transito fondamentali, contribuendo così alle finanze della famiglia e sostenere magari l’attività professionale del marito o della famiglia di origine. Nel corso del Medioevo, inoltre, il genere femminile poteva far parte delle corporazioni, associazioni di mestiere che raggruppavano tutti i lavoratori di un medesimo settore, si registrano così donne al loro interno e soprattutto in quelle della lavorazione dei tessuti. Durante il Medioevo furono le appartenenti a classi sociali più abbienti a godere di maggiori benefici: pur essendo sempre sottoposte all’autorità maschile, molte ebbero la possibilità di intraprendere gli studi.
Giunte all’età giusta, le fanciulle, se non venivano date in sposa, erano inviate in convento, spesso con “vocazioni” forzate. La vita monastica era un’apprezzata via di scampo che offriva non solo maggiori libertà, ma anche possibilità d’istruzione, influenza e talvolta potere.
Nel periodo medioevale si afferma ancor più il cristianesimo che ha promosso il modello di donna come essere inferiore ed assoggettata all’uomo per ragioni legate alla “legge naturale”, la sua vita era vista come votata a due sole attività: le cure casalinghe e la procreazione.
Il Medioevo fu il periodo in cui si intensificò la misoginia e si scatenò la caccia alle streghe: qualsiasi donna che godesse di qualunque tipo di indipendenza poteva essere considerata strega. Gli inquisitori disposero che le donne senza il controllo maschile, al margine della loro tutela attraverso la famiglia, o che si mantenevano fuori o ai limiti dei ruoli femminili prescritti per loro, fossero elementi sconvolgenti dell’ordine sociale stabilito. Donne sole, nubili o vedove, povere, vecchie, straniere, malinconiche, guaritrici, lo spettro poteva essere vario. Se erano senza uomini, nubili o vedove, con più di quarant’anni, facilmente potevano essere considerate streghe, ma molte anche erano sposate, giovani o addirittura bambine. Anche le straniere potevano essere un obiettivo facile, proprio perché donne e appena arrivate erano oggetto di sfiducia. Streghe erano considerate coloro le quali avevano o mostravano indipendenza, che erano disposte a replicare e a difendersi. In molti casi le streghe erano di estrazione contadina o povera, anche se ce n’erano di condizione sociale benestante. In quell’epoca si perpetrò un vero e proprio “femminicidio”, uno sterminio di migliaia di donne torturate, incatenate e arse vive. Questa feroce repressione si protrasse fino al Risorgimento contando più di cinquantamila vittime.
Tuttavia, alcune rappresentanti del mondo femminile dell’epoca medioevale, ebbero coraggio e cultura e si distinsero per la determinatezza e caparbietà a non sottomettersi a ruolo passivo che riservava loro la società di quel periodo. Una tra le poche, che si può considerare come una protofemminista, fu Christine de Pizan. Nata a Venezia nel 1365 da genitori italiani come Cristina da Pizzano è una delle più note scrittrici laiche del Medioevo. Contrariamente a quanto avveniva allora e superando l’opposizione della madre, il padre Tommaso, professore universitario a Bologna, medico e astrologo, decise di dare alla figlia, fin dalla tenera età, una solida cultura. A tre anni Christine de Pizan si trasferì con la famiglia in Francia, dove il padre era stato chiamato come medico personale del re. Quando compì quindici anni sposò un notaio. A venticinque anni rimase vedova con tre figli: riuscì a mantenere sé stessa e la sua famiglia trasformando la sua cultura in lavoro. Divenne infatti scrittrice di professione, copista e miniaturista; eseguì lavori su commissione dei membri della famiglia reale francese e di personaggi della corte. Tra le sue opere spicca “la Città delle Dame”, una galleria di ritratti di donne virtuose e sapienti, nella quale, come in altri scritti, esalta la dignità e le capacità delle donne, rivendicando l’uguaglianza con gli uomini: con tale opera l’autrice rispondeva a Giovanni Boccaccio e a diversi autori che in precedenza avevano descritto la donna come esseri viziosi per loro natura.
Per trovare un’era in cui la donna godeva di privilegi simili a quelli degli uomini, bisogna tornare indietro nel tempo fino ad arrivare all’epoca degli Etruschi. Vedremo come anche in quell’epoca, come d’altronde ancora oggi, in taluni settori civili, la libertà e l’emancipazione della donna sia sinonimo di poca serietà del genere femminile.
Sulle donne etrusche si hanno solo fonti scritte greche e romane che la definiscono di facili costumi. Nel I secolo a.C. visse un filosofo di origine etrusca: Musonio detto l’etrusco di cui un discepolo ha scritto una raccolta di diatribe nelle quali si ricavano i princìpi della sua predicazione. Molto fuori dal comune e contrastante con la considerazione che i romani ed i greci avevano della donna, sono la diatriba III CHE ANCHE LE DONNE DOVREBBERO STUDIARE e la diatriba IV SE LE FIGLIE DOVREBBERO RICEVERE LA STESSA EDUCAZIONE DEI FIGLI MASCHI. Nella prima si legge: “La femmina e il maschio hanno similmente le stesse sensazioni: vedere, udire, odorare e le altre. Sia l’uno che l’altra hanno similmente le stesse parti del corpo, e nessuno dei due ne ha più dell’altro. Inoltre, il desiderio della virtù e la naturale disposizione ad appropriarsi di essa non nasce soltanto negli uomini ma anche nelle donne; giacché le donne non meno degli uomini sono nate per dare il loro beneplacito alle opere belle e giuste e per vilipendere quelle opposte. Stando così le cose, perché mai agli uomini si converrebbe il ricercare e il considerare il modo di vivere bene, il che è appunto il filosofare, e invece ciò non si converrebbe alle donne? È forse che agli uomini si conviene d’essere virtuosi ed alle donne no? In un passo della diatriba successiva si legge quanto segue: “Ora, quanto alla virtù che s’addice all’essere umano, se bisogna che entrambi diventino virtuosi e che siano similmente capaci d’essere assennati, d’essere temperanti, di partecipare della virilità e della giustizia uno non meno dell’altra: non educheremo noi in modo simile l’uno e l’altra, e non insegneremo parimenti ad entrambi l’arte grazie alla quale l’essere umano può diventare virtuoso? Certo che bisogna fare così e non altrimenti.” La sua concezione della donna, in cui si riflette il retroterra culturale etrusco, presenta indubbi elementi di novità rispetto alla tradizione greco-romana e dopo 2000 anni tali elementi sono estremamente attuali.
Gli archeologi hanno potuto dedurre dallo studio delle raffigurazioni rinvenute sulle pareti delle tombe etrusche nell’immensa necropoli di Cerveteri nonché dalla decorazione pittorica di vasi e ceramiche, facenti parte dei corredi funerari ivi ritrovati e da alcune incisioni scritte su oggetti prettamente femminili, che la donna etrusca, come nessun’altra della stessa epoca, godeva di un alto grado di emancipazione, libertà, cultura e autonomia. Questa “modernità” suscitava lo scandalo e la maldicenza di alcuni storici greci e latini dell’epoca come Teopompo, storico greco che scriveva: «Presso i Tirreni (così i greci chiamavano il popolo Etrusco) le donne sono tenute in comune, che hanno molta cura del loro corpo e che spesso si presentano nude tra gli uomini, talvolta anche tra di loro, in quanto non è disdicevole il mostrarsi nude. Stanno a tavola non vicino al marito, ma vicino al primo venuto di coloro che sono presenti, e brindano alla salute di chi vogliono. Sono potenti bevitrici e molto belle da vedere. I Tirreni allevano tutti i bambini insieme, ignorando chi sia il padre di ciascuno di essi: questi ragazzi vivono nello stesso modo di chi li mantiene, passando parte del tempo ubriacandosi e cambiando di continuo donna. Non è riprovevole per i Tirreni abbandonarsi ad atti sessuali in pubblico o talora circondando i loro letti di paraventi fatti con rami intrecciati, sui quali stendono dei mantelli. Come tutti i barbari che abitano ad occidente, si strofinano il corpo con la pece e lo rasano. Presso i Tirreni vi sono quindi molte botteghe di specialisti per questa operazione, come vi sono i barbieri presso di noi.». “Maledicentissimus” così, già ai suoi tempi, era soprannominato Teopompo per la sua propensione a diffamare gli altri popoli.
Altri autori, come Aristotele, le accusavano di banchettare con gli uomini, coricate sotto lo stesso mantello; Plauto insinuava che si procurassero la dote vendendo i propri favori; per Orazio, l’uomo etrusco avrebbe subìto tutte le libertà e tutti i tradimenti delle proprie donne, mogli, amanti o figlie che fossero. Le esternazioni degli autori greci e romani, scandalizzati dalle differenze tra la loro concezione delle donne nella società e quella degli Etruschi, lasciano il tempo che trovano, confermando la posizione sociale che la donna etrusca ricopriva nell’ambito della popolazione dei Rasenna. Nella società Etrusca la donna era libera, indipendente ed emancipata, di sicuro lontanissima dalla visione maschilista ed ellenocentrica di Teopompo.
La condizione sociale della donna nella civiltà etrusca era veramente unica nel panorama del mondo mediterraneo. Ella godeva di una libertà sconosciuta in altre civiltà dell’antichità che subì dei ridimensionamenti quando gli Etruschi conobbero Roma e che si perse quando gli Etruschi divennero Romani.
Il modello di donna romana, moglie fedele dedita alla filatura e alle faccende domestiche, lo ritroviamo descritto nella seguente incisione tombale:” Hospes, quod dico paulum est, adsta ac perlege. Hoc est sepulcrum haud pulchrum pulchrae feminae. Nomen parentes nominarunt Claudiam. Suum maritum corde dilexit suo. Gnatos duos creavit. Horum alterum in terra linquit, alium sub terra locat. Sermone lepido, tum autem incessu commodo. Domum servavit. Lanam fecit. Dixi. Abi.” “Straniero, ho poco da dirti, fermati e leggi. Questa è la tomba non bella di una donna bella. I genitori la chiamarono Claudia. Amò sinceramente il marito. Fece due figli. Di questi, lasciò uno ancora vivo, l’altro è sottoterra. Piacevole nel parlare, elegante nell’incedere. Custodì la casa. Filò la lana. È tutto. Puoi andare. “.
Tito Livio, storico romano, narra la legenda di Lucrezia, moglie di Collatino, un politico romano che assieme ad altri nobili di origine etrusca, si ritrovarono a parlare delle proprie mogli. Ognuno celebrava la propria finché Collatino affermò che solo Lucrezia, sua moglie, fosse fedele e che era superiore alle mogli degli altri. Decisero di andare presso le loro abitazioni a constatare di persona. Infatti, Lucrezia nel pieno della notte stava filando la lana e non trascorreva, come alcune, il tempo in banchetti e divertimento.
Le donne etrusche si videro privare della loro emancipazione nell’ultima fase della storia del loro popolo e sotto l’influenza della cultura e dei costumi romani, quella stessa emancipazione e libertà che con tenacia la donna di oggi sta cercando di riconquistare.
Le doti tanto decantate dai romani delle loro donne, furono smentite secoli dopo da Maria detta Marozia, figlia di un senatore romano, vissuta tra l’890 e il 936. Amante di un papa, madre di un papa, nonna di un papa, Marozia fu l’ape regina del Vaticano, la dark lady del Papato a cui nessun potente sapeva resistere, la protagonista della pornocrazia romana del X sec. d.C. A 15 anni era concubina di papa Sergio III, conosciuto quando era vescovo di Caere (l’attuale Cerveteri). Ebbe tre mariti scelti per la loro posizione politica, usati per raggiungere le sue mire di potere e fatti uccidere quando divenivano ostacoli o inutili per raggiungere i suoi fini.
Oggi si sente spesso dire “non ci sono più le donne di una volta”, ma quali donne? Oggi esistono ancora donne indipendenti, libere, colte come le etrusche; donne sottomesse alla volontà degli uomini e a una società patriarcale come le romane; donne che lottano per la parità dei diritti come Christine de Pizan e donne disposte a tutto per raggiungere i loro scopi come Marozia. Donne considerate streghe, perseguitate ed uccise perché non erano sotto il controllo di un uomo e donne che oggi vengono uccise perché vogliono fuggire dal controllo morboso di un uomo
Sono passati millenni, secoli, ma la donna continua ad essere in lotta contro una società maschilista che non accetta ancora totalmente la parità di genere, requisito che non è solo un diritto umano fondamentale, ma la condizione necessaria per un mondo prospero, sostenibile e in pace.
(Testo di Emanuela Battistello)
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Intervista a Federica Battafarano, vicesindaca di Cerveteri
Etrusca, scandalosamente donna
Uomini e donne in passato operavano in ambiti di uguale importanza per la comunità, ma differenti tra loro.
Ancora oggi vi sono mansioni solo per uomini e altre solo per donne e, a differenza dal passato, nella società moderna, molte attività vengono svolte da entrambi.
Nel corso della Storia, le donne hanno ricoperto ruoli diversi, ma per molto tempo è stato impedito loro di studiare e di svolgere lavori “importanti” o lavorare fuori dalle loro case, perché il loro compito era quello di adempiere ai lavori domestici e badare ai figli. Oggi, in alcune parti del mondo, la loro vita è molto diversa, sono più libere e possono scegliere che lavoro esercitare e dove lavorare, possono studiare e decidere della loro vita.
Purtroppo, però, in altri Paesi del mondo esistono ancora forti disparità e discriminazioni tra il genere maschile e quello femminile: l’istruzione scolastica è vietata alle ragazze o è molto limitata; le ragazze e le donne non possono scegliere liberamente il loro destino, ma devono ubbidire a padri, fratelli e mariti; le bambine e le ragazze sono spesso maltrattate, mutilate e a volte sono costrette a sposarsi poco più che bambine, perdendo così la possibilità di andare a scuola e ricevere un’istruzione che permetta loro di lavorare e di rendersi indipendenti. La lotta per l’uguaglianza e la parità di diritti tra maschi e femmine è ancora accesa perché, nella realtà, il principio di “eguaglianza” trai due sessi è ancora lontano dall’essere pienamente applicato.
Le donne guadagnano meno e sono meno protette sul lavoro anche nei Paesi culturalmente più avanzati, dove l’arrivo di una rappresentante del gentil sesso al vertice di un’istituzione, è accolto dall’opinione pubblica come un “ce l’ha fatta” e l’evento non appare quasi mai come un vero vantaggio per la collettività. La sensazione è quella di appagamento per i numeri delle “quote rosa” raggiunti senza capire l’importanza delle vedute femminili nella società, nell’economia, nella politica. È interessante citare la constatazione di Luce Irigaray (filosofa e femminista belga): “I valori di cui le donne sono portatrici, non sono sufficientemente riconosciuti e apprezzati anche dalle donne stesse”. Per alcune donne, l’emancipazione è un problema di privilegi individuali e non di rivendicazione di doveri sociali. La parità di genere non è solo una questione di potere, ma della responsabilità da condividere insieme per un futuro migliore.
Le nuove generazioni di donne, in parte del mondo, sono nate e cresciute con una serie di diritti acquisiti e per questo danno scontata la possibilità di realizzare la propria vita secondo le loro prospettive personali. Quando, dopo il percorso formativo, si trovano ad affrontare il mondo del lavoro e a voler “metter su famiglia”, devono però lottare contro una società che ancora discrimina la donna a favore dell’uomo.
Le “conquiste” della donna, laddove ottenute, possiamo dire che è un duro percorso di lotte andato a buon fine grazie alla loro forte unione, ma c’è ancora molto da fare.
La prima vera lotta riguarda il lavoro, che è la strada per raggiungere l’indipendenza economica e quindi libertà dai contesti famigliari di origine e dal proprio compagno. Con la rivoluzione industriale, alla fine del XIX secolo, si vede l’ingresso della donna in molti settori lavorativi. Essa diviene “visibile” all’esterno della famiglia, non più “protetta o nascosta” tra le mura domestiche, relegata al ruolo di “angelo del focolare”. È stata, comunque, la “Grande Guerra”, nel XX secolo, con la chiamata massiccia alle armi degli uomini, a fare uscire le donne dal tradizionale compito dell’accudimento familiare. Esse hanno iniziato a prendere posto nelle attività lavorative pubbliche e private riconoscendo in sé stesse capacità e risorse umane di autonomia fino ad allora represse.
La prima grande conquista delle donne italiane è stato il diritto al voto. Il popolo delle donne viene finalmente ammesso, nel 1946, a partecipare alle scelte e alle decisioni riguardanti la politica del paese. Sempre in Italia, per esempio, dal 1948 in poi c’è stata un’escalation dell’emancipazione femminile. È stata estesa anche alle donne la possibilità di accedere, in condizioni di uguaglianza, agli uffici pubblici e a sviluppare importanti norme per la tutela delle lavoratrici madri. La donna è stata ammessa a ricoprire cariche professionali e impieghi pubblici, le è stata aperta la carriera prefettizia, diplomatica e militare. È stato raggiunto il diritto di parità nell’ambito famigliare, approvate leggi sull’interruzione volontaria della gravidanza e sul divorzio.
Con la presa di coscienza degli effetti devastanti sulla psiche e sul corpo causati dalla violenza di qualsiasi tipo che le donne erano costrette a subire, quelle stesse violenze, con leggi apposite, sono state trasformate in reati contro la morale e la persona.
Nonostante questi progressi, la donna non deve abbassare la guardia poiché non ci sono abbastanza strumenti di lotta che garantiscano il mantenimento delle conquiste fatte e che le leggi non abbiano solo valore sulla carta.
In quasi tutti i periodi della storia passata, la donna ha subìto un trattamento sfavorevole rispetto all’uomo e spesso subordinate ad esso. Le donne sono state private di diritti fondamentali ed escluse dalla vita sociale e dalle attività pubbliche. Spesso viveva all’ombra del padre, dei fratelli, del marito, rispetto ai quali aveva diritti e autonomie inferiori.
Un’epoca in cui la donna visse uno dei periodi più difficili fu il Medioevo. Esse erano sottomesse agli uomini in tutti i campi della vita ma riuscirono a ritagliarsi spazi di azione e di autonomia. Sebbene la donna abbia sempre lavorato in ogni epoca storica, nel Medioevo la sua vita professionale era strettamente connessa alle sue origini sociali. La vita lavorativa delle donne di umili origini, generalmente contadine, era molto faticosa e gravata da pesanti responsabilità. Nelle città, si occupavano di gestire locande e alberghi, luoghi di transito fondamentali, contribuendo così alle finanze della famiglia e sostenere magari l’attività professionale del marito o della famiglia di origine. Nel corso del Medioevo, inoltre, il genere femminile poteva far parte delle corporazioni, associazioni di mestiere che raggruppavano tutti i lavoratori di un medesimo settore, si registrano così donne al loro interno e soprattutto in quelle della lavorazione dei tessuti. Durante il Medioevo furono le appartenenti a classi sociali più abbienti a godere di maggiori benefici: pur essendo sempre sottoposte all’autorità maschile, molte ebbero la possibilità di intraprendere gli studi.
Giunte all’età giusta, le fanciulle, se non venivano date in sposa, erano inviate in convento, spesso con “vocazioni” forzate. La vita monastica era un’apprezzata via di scampo che offriva non solo maggiori libertà, ma anche possibilità d’istruzione, influenza e talvolta potere.
Nel periodo medioevale si afferma ancor più il cristianesimo che ha promosso il modello di donna come essere inferiore ed assoggettata all’uomo per ragioni legate alla “legge naturale”, la sua vita era vista come votata a due sole attività: le cure casalinghe e la procreazione.
Il Medioevo fu il periodo in cui si intensificò la misoginia e si scatenò la caccia alle streghe: qualsiasi donna che godesse di qualunque tipo di indipendenza poteva essere considerata strega. Gli inquisitori disposero che le donne senza il controllo maschile, al margine della loro tutela attraverso la famiglia, o che si mantenevano fuori o ai limiti dei ruoli femminili prescritti per loro, fossero elementi sconvolgenti dell’ordine sociale stabilito. Donne sole, nubili o vedove, povere, vecchie, straniere, malinconiche, guaritrici, lo spettro poteva essere vario. Se erano senza uomini, nubili o vedove, con più di quarant’anni, facilmente potevano essere considerate streghe, ma molte anche erano sposate, giovani o addirittura bambine. Anche le straniere potevano essere un obiettivo facile, proprio perché donne e appena arrivate erano oggetto di sfiducia. Streghe erano considerate coloro le quali avevano o mostravano indipendenza, che erano disposte a replicare e a difendersi. In molti casi le streghe erano di estrazione contadina o povera, anche se ce n’erano di condizione sociale benestante. In quell’epoca si perpetrò un vero e proprio “femminicidio”, uno sterminio di migliaia di donne torturate, incatenate e arse vive. Questa feroce repressione si protrasse fino al Risorgimento contando più di cinquantamila vittime.
Tuttavia, alcune rappresentanti del mondo femminile dell’epoca medioevale, ebbero coraggio e cultura e si distinsero per la determinatezza e caparbietà a non sottomettersi a ruolo passivo che riservava loro la società di quel periodo. Una tra le poche, che si può considerare come una protofemminista, fu Christine de Pizan. Nata a Venezia nel 1365 da genitori italiani come Cristina da Pizzano è una delle più note scrittrici laiche del Medioevo. Contrariamente a quanto avveniva allora e superando l’opposizione della madre, il padre Tommaso, professore universitario a Bologna, medico e astrologo, decise di dare alla figlia, fin dalla tenera età, una solida cultura. A tre anni Christine de Pizan si trasferì con la famiglia in Francia, dove il padre era stato chiamato come medico personale del re. Quando compì quindici anni sposò un notaio. A venticinque anni rimase vedova con tre figli: riuscì a mantenere sé stessa e la sua famiglia trasformando la sua cultura in lavoro. Divenne infatti scrittrice di professione, copista e miniaturista; eseguì lavori su commissione dei membri della famiglia reale francese e di personaggi della corte. Tra le sue opere spicca “la Città delle Dame”, una galleria di ritratti di donne virtuose e sapienti, nella quale, come in altri scritti, esalta la dignità e le capacità delle donne, rivendicando l’uguaglianza con gli uomini: con tale opera l’autrice rispondeva a Giovanni Boccaccio e a diversi autori che in precedenza avevano descritto la donna come esseri viziosi per loro natura.
Per trovare un’era in cui la donna godeva di privilegi simili a quelli degli uomini, bisogna tornare indietro nel tempo fino ad arrivare all’epoca degli Etruschi. Vedremo come anche in quell’epoca, come d’altronde ancora oggi, in taluni settori civili, la libertà e l’emancipazione della donna sia sinonimo di poca serietà del genere femminile.
Sulle donne etrusche si hanno solo fonti scritte greche e romane che la definiscono di facili costumi. Nel I secolo a.C. visse un filosofo di origine etrusca: Musonio detto l’etrusco di cui un discepolo ha scritto una raccolta di diatribe nelle quali si ricavano i princìpi della sua predicazione. Molto fuori dal comune e contrastante con la considerazione che i romani ed i greci avevano della donna, sono la diatriba III CHE ANCHE LE DONNE DOVREBBERO STUDIARE e la diatriba IV SE LE FIGLIE DOVREBBERO RICEVERE LA STESSA EDUCAZIONE DEI FIGLI MASCHI. Nella prima si legge: “La femmina e il maschio hanno similmente le stesse sensazioni: vedere, udire, odorare e le altre. Sia l’uno che l’altra hanno similmente le stesse parti del corpo, e nessuno dei due ne ha più dell’altro. Inoltre, il desiderio della virtù e la naturale disposizione ad appropriarsi di essa non nasce soltanto negli uomini ma anche nelle donne; giacché le donne non meno degli uomini sono nate per dare il loro beneplacito alle opere belle e giuste e per vilipendere quelle opposte. Stando così le cose, perché mai agli uomini si converrebbe il ricercare e il considerare il modo di vivere bene, il che è appunto il filosofare, e invece ciò non si converrebbe alle donne? È forse che agli uomini si conviene d’essere virtuosi ed alle donne no? In un passo della diatriba successiva si legge quanto segue: “Ora, quanto alla virtù che s’addice all’essere umano, se bisogna che entrambi diventino virtuosi e che siano similmente capaci d’essere assennati, d’essere temperanti, di partecipare della virilità e della giustizia uno non meno dell’altra: non educheremo noi in modo simile l’uno e l’altra, e non insegneremo parimenti ad entrambi l’arte grazie alla quale l’essere umano può diventare virtuoso? Certo che bisogna fare così e non altrimenti.” La sua concezione della donna, in cui si riflette il retroterra culturale etrusco, presenta indubbi elementi di novità rispetto alla tradizione greco-romana e dopo 2000 anni tali elementi sono estremamente attuali.
Gli archeologi hanno potuto dedurre dallo studio delle raffigurazioni rinvenute sulle pareti delle tombe etrusche nell’immensa necropoli di Cerveteri nonché dalla decorazione pittorica di vasi e ceramiche, facenti parte dei corredi funerari ivi ritrovati e da alcune incisioni scritte su oggetti prettamente femminili, che la donna etrusca, come nessun’altra della stessa epoca, godeva di un alto grado di emancipazione, libertà, cultura e autonomia. Questa “modernità” suscitava lo scandalo e la maldicenza di alcuni storici greci e latini dell’epoca come Teopompo, storico greco che scriveva: «Presso i Tirreni (così i greci chiamavano il popolo Etrusco) le donne sono tenute in comune, che hanno molta cura del loro corpo e che spesso si presentano nude tra gli uomini, talvolta anche tra di loro, in quanto non è disdicevole il mostrarsi nude. Stanno a tavola non vicino al marito, ma vicino al primo venuto di coloro che sono presenti, e brindano alla salute di chi vogliono. Sono potenti bevitrici e molto belle da vedere. I Tirreni allevano tutti i bambini insieme, ignorando chi sia il padre di ciascuno di essi: questi ragazzi vivono nello stesso modo di chi li mantiene, passando parte del tempo ubriacandosi e cambiando di continuo donna. Non è riprovevole per i Tirreni abbandonarsi ad atti sessuali in pubblico o talora circondando i loro letti di paraventi fatti con rami intrecciati, sui quali stendono dei mantelli. Come tutti i barbari che abitano ad occidente, si strofinano il corpo con la pece e lo rasano. Presso i Tirreni vi sono quindi molte botteghe di specialisti per questa operazione, come vi sono i barbieri presso di noi.». “Maledicentissimus” così, già ai suoi tempi, era soprannominato Teopompo per la sua propensione a diffamare gli altri popoli.
Altri autori, come Aristotele, le accusavano di banchettare con gli uomini, coricate sotto lo stesso mantello; Plauto insinuava che si procurassero la dote vendendo i propri favori; per Orazio, l’uomo etrusco avrebbe subìto tutte le libertà e tutti i tradimenti delle proprie donne, mogli, amanti o figlie che fossero. Le esternazioni degli autori greci e romani, scandalizzati dalle differenze tra la loro concezione delle donne nella società e quella degli Etruschi, lasciano il tempo che trovano, confermando la posizione sociale che la donna etrusca ricopriva nell’ambito della popolazione dei Rasenna. Nella società Etrusca la donna era libera, indipendente ed emancipata, di sicuro lontanissima dalla visione maschilista ed ellenocentrica di Teopompo.
La condizione sociale della donna nella civiltà etrusca era veramente unica nel panorama del mondo mediterraneo. Ella godeva di una libertà sconosciuta in altre civiltà dell’antichità che subì dei ridimensionamenti quando gli Etruschi conobbero Roma e che si perse quando gli Etruschi divennero Romani.
Il modello di donna romana, moglie fedele dedita alla filatura e alle faccende domestiche, lo ritroviamo descritto nella seguente incisione tombale:” Hospes, quod dico paulum est, adsta ac perlege. Hoc est sepulcrum haud pulchrum pulchrae feminae. Nomen parentes nominarunt Claudiam. Suum maritum corde dilexit suo. Gnatos duos creavit. Horum alterum in terra linquit, alium sub terra locat. Sermone lepido, tum autem incessu commodo. Domum servavit. Lanam fecit. Dixi. Abi.” “Straniero, ho poco da dirti, fermati e leggi. Questa è la tomba non bella di una donna bella. I genitori la chiamarono Claudia. Amò sinceramente il marito. Fece due figli. Di questi, lasciò uno ancora vivo, l’altro è sottoterra. Piacevole nel parlare, elegante nell’incedere. Custodì la casa. Filò la lana. È tutto. Puoi andare. “.
Tito Livio, storico romano, narra la legenda di Lucrezia, moglie di Collatino, un politico romano che assieme ad altri nobili di origine etrusca, si ritrovarono a parlare delle proprie mogli. Ognuno celebrava la propria finché Collatino affermò che solo Lucrezia, sua moglie, fosse fedele e che era superiore alle mogli degli altri. Decisero di andare presso le loro abitazioni a constatare di persona. Infatti, Lucrezia nel pieno della notte stava filando la lana e non trascorreva, come alcune, il tempo in banchetti e divertimento.
Le donne etrusche si videro privare della loro emancipazione nell’ultima fase della storia del loro popolo e sotto l’influenza della cultura e dei costumi romani, quella stessa emancipazione e libertà che con tenacia la donna di oggi sta cercando di riconquistare.
Le doti tanto decantate dai romani delle loro donne, furono smentite secoli dopo da Maria detta Marozia, figlia di un senatore romano, vissuta tra l’890 e il 936. Amante di un papa, madre di un papa, nonna di un papa, Marozia fu l’ape regina del Vaticano, la dark lady del Papato a cui nessun potente sapeva resistere, la protagonista della pornocrazia romana del X sec. d.C. A 15 anni era concubina di papa Sergio III, conosciuto quando era vescovo di Caere (l’attuale Cerveteri). Ebbe tre mariti scelti per la loro posizione politica, usati per raggiungere le sue mire di potere e fatti uccidere quando divenivano ostacoli o inutili per raggiungere i suoi fini.
Oggi si sente spesso dire “non ci sono più le donne di una volta”, ma quali donne? Oggi esistono ancora donne indipendenti, libere, colte come le etrusche; donne sottomesse alla volontà degli uomini e a una società patriarcale come le romane; donne che lottano per la parità dei diritti come Christine de Pizan e donne disposte a tutto per raggiungere i loro scopi come Marozia. Donne considerate streghe, perseguitate ed uccise perché non erano sotto il controllo di un uomo e donne che oggi vengono uccise perché vogliono fuggire dal controllo morboso di un uomo
Sono passati millenni, secoli, ma la donna continua ad essere in lotta contro una società maschilista che non accetta ancora totalmente la parità di genere, requisito che non è solo un diritto umano fondamentale, ma la condizione necessaria per un mondo prospero, sostenibile e in pace.
(Testo di Emanuela Battistello)
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Intervista a Federica Battafarano, vicesindaca di Cerveteri